Giudizi, modelli di comportamento, linguaggio, rapporti di potere... che relazioni costruiamo, con  i nostri figli, dentro casa? Che indicatori abbiamo per accorgerci se il gruppo classe è caratterizzato da una dinamica di bullismo?

Quando parliamo di bullismo parliamo di relazioni. E a pensarci bene, da genitori, non è così difficile farsi un'idea della vita relazionale dei nostri figli, almeno fino alla prima adolescenza.

Se è vero che la scuola è la principale agenzia di socializzazione nella vita dei bambini (trascorrono a scuola la metà del loro tempo), non dovrebbe costituire grande impresa, per noi  genitori, capire se i nostri figli stiano bene o no con i compagni di classe.

Poniamoci per esempio alcune domande:

  • Mio figlio, mia figlia, va a scuola sereno?
  • Si sveglia sempre col mal di pancia?
  • Esce sorridendo?
  • Se faccio domande sulla mattinata come reagisce?
  • C'è un momento di incontro spontaneo, ludico, nella fase che precede l'ingresso e soprattutto in quella che segue l'uscita dalla scuola?
  • Mio figlio, mia figlia, telefona volentieri a qualche compagnetto per chiedere, per esempio, informazioni su compiti, materiale didattico o altro?
  • Riceve telefonate?
  • Incontra qualche compagnetto nel tempo libero?
  • Se gli viene proposto come reagisce?
  • Partecipa alle feste di compleanno?
  • Se incontra casualmente un compagno, lo saluta, gli va incontro, o lo evita?

Parto da questi semplici indicatori, poiché spesso noi genitori siamo bravi a stilare la lista dei facili compiti che spettano agli insegnanti, e troviamo davvero assurdo che non si accorgano di questo o dell'altro problema. Fino, in molti casi, a giudicare incompetente il personale scolastico. Ci aspettiamo che gli insegnanti osservino venticinque – trenta bambini con l'occhio attento che noi non riusciamo ad avere sui nostri figli unici o al massimo sui nostri due - tre bambini.

Tutto questo non lo dico per giustificare, ma per sottolineare che noi genitori abbiamo il compito fondamentale di aiutare i nostri figli ad intessere relazioni. Cominciando con il promuovere relazioni positive ed armoniche con cuginetti, coetanei vicini di casa, compagnetti della materna e via dicendo man mano che crescono. Si, si inizia molto presto in questo processo.
Quando il bambino e la bambina accedono alla scuoa elementare hanno già costruito un'immagine di se stessi che porteranno nel gruppo. Immagine destinata a cambiare, ad evolversi, adattarsi, modellarsi piano piano, nel migliore dei casi fino a rappresentare l'identità autentica dell'adulto che sarà.

Qualche volta però accade che il bambino ha già un'etichetta addosso, attribuita dalla mamma, dal papà, dai nonni, dai cugnetti: dispettoso, disobbediente, cattivo, fragile, debole, pigro, egoista, noioso, schiappetta, tonto, intelligentissimo, forte, bravo, buono, educato... 
Quando arriva per la prima volta a scuola, questa etichetta è l'unico bagaglio sicuro che ha con sé e farà di tutto per presentarsi tale al nuovo gruppo, ai nuovi adulti che non sono ancora quelli di riferimento. L'etichetta sarà il suo rifugio e come tale lo "salverà" dalle relazioni con gli altri. Questo "rifugiarsi" è normale ed è un sano meccanismo di protezione, che permette di accedere gradualmente alla vita sociale, facendo piccoli passi verso gli altri, verso il mondo al di fuori della casa e della famiglia.

In qualche caso però può aver inizio un circolo vizioso che passa per l'isolamento e sfocia nella rabbia così come nella depressione, nell'aggressività così come nella passività.
Allora l'aggressivo scaricherà la rabbia per la propria solitudine sul passivo che sopporterà, perché è convinto di meritare la punizione.
Il passivo, proprio per cercare la punizione, provocherà il carnefice, affinché reagisca e gli confermi il proprio status di vittima.

Io ci tengo molto a sottolineare che, quasi sempre, in una dinamica di bullismo nella prima infanzia, vittima e carnefice si somigliano, si individuano e si usano l'uno con l'altro al fine di rafforzare quell'imagine di loro stessi  e confermare l'etichetta di cui sopra.

Tutto questo porta ad assumere posizioni, rivestire ruoli, adottare comportamenti standardizzati, che si ripetono con schemi e successioni precise, riconoscibili e prevedibili; tanto consolidate da non permettere alla vera identità dei bambini di emergere e di essere riconosciuta dai compagni.
E questo mancato riconoscimento non fa che produrre sofferenza e rafforzare ulteriormente i sentimenti di rabbia/tristezza di vittime e carnefici.

Ecco, come famiglia in senso allargato, abbiamo la responsabilità di non far sentire incastrati i nostri figli in rigide definizioni, in insindacabili giudizi; abbiamo la responsabilità di lasciare sempre aperta la porta alla speranza, alla possibilità, al cambiamento.
E soprattutto la responsabilità di comunicare loro tutto ciò che di bello sono, e non ciò che di bello o brutto fanno.

E la porta aperta siamo noi stessi, se tendiamo la mano, perché trovino un appiglio, un aiuto, un rifugio sicuro non dietro una maschera ma dentro una relazione.

 

(segue)

 

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Ritratto di Natalia Forte

Posted by Natalia Forte

In cammino, a piedi nudi: fra terra e cielo, fra realtà e immaginazione, fra presente e sogno, fra necessità e desiderio, fra regole e ideali, fra attualità e realizzazione, fra cervello ed emozioni... Dove stanno questi ragazzi quando parliamo con loro? Dove stanno con la testa? Sicuramente lontani dai piedi, sicuramente altrove, laddove noi non possiamo arrivare, dove loro non ci vogliono portare.

Perché il loro mondo può essere solo ciò che stanno respirando in questo momento. E nessun altro lo deve capire... altrimenti non sarebbe più il loro mondo.